Roma, 3 maggio 2020
di Luciano Vanni
L’artista ha sempre svolto un ruolo attivo nella società civile, offrendo un contributo insostituibile di fronte a sofferenze, guerre e momenti di disperazione collettiva: l’artista, per sua natura, non si adatta ma crea, portando a maturazione un sentimento privato e al tempo stesso collettivo, secondo un intimo e istintivo sentimento di urgenza espressiva (prima ancora che mestiere) e di responsabilità sociale.
Sappiate che, da sempre, la storia e la società civile hanno avuto bisogno di voi artisti per ricucire le ferite e per comprendere la cronaca: e che è necessario chi fa musica e arte, fosse solo per rielaborare il dolore e la sofferenza. Cerchiamo, per quanto sia possibile, tra tutti, di non ritrovarci ai margini della cronaca e di non relegarci nell’irrilevanza, perché è l’irrilevanza a renderci invisibili, e non un governo o un decreto. Con il Covid-19 si chiude definitivamente il Novecento e ora si apre finalmente un nuovo secolo. Cerchiamo, tutti assieme, come solo voi artisti sapete fare, di rispondere positivamente anche a questo periodo di crisi sanitaria, di claustrofobia sociale e di fragilità economica.
C’è un punto rilevante su cui vorrei porre l’attenzione. Se la società civile si può adattare, l’artista, per sua natura, può e sa trasformare e creare sempre qualcosa di nuovo. Ce lo dice la storia. Anche sotto i bombardamenti o nei campi di concentramento, nel secolo scorso, i musicisti, i poeti, gli intellettuali e gli artisti hanno rielaborato la disperazione di milioni di persone in melodie, opere d’arte e pagine di letteratura, che hanno dato conforto o creato memoria eterna a un evento doloroso. E lo hanno fatto prim’ancora di pensare al compenso o alla testimonianza di un politico.
C’è sempre una soluzione, per gli artisti e per i musicisti. Perché non siete ‘dipendenti’ di qualcuno o qualcosa, che sia lo Stato, una legge, un governo, un decreto, un’impresa o un evento storico: siete e sarete sempre creatori, liberi e indipendenti. Poi certo, siete anche a vostro modo delle aziende: rappresentate un’economia, ma la vostra economia ha altri parametri di riferimento, perché la vostra azione si muove senza ‘dipendenza’, altrimenti perdereste il senso stesso della creazione. E perché a un’opera d’arte la società civile riconosce un valore ‘fuori mercato’. C’è tempo per un’arte di contrasto, di dissenso, anche di silenzio, ma non di sospensione.
L’arte non può rischiare di perdere la sua rilevanza nella società contemporanea: perché riconosciamo da sempre un valore a un’opera d’arte – che sia uno spartito, una fotografia, un quadro, una scultura, un romanzo o una raccolta poetica – non esclusivamente per il suo connotato estetico (da Duchamp a Burri, da Cimabue a Parker, da Fidia a Ungaretti) ma per la sua funzione sociale, educativa, storica e pedagogica, in quanto capace di trasformare la cronaca in storia. Non dimentichiamocelo.
E ciò ci obbliga anche ad abbandonare l’asfittica abitudine di affidarci alla terminologia del ‘progetto’ (un cd o un testo non è un progetto, ma un’opera e un sentimento: ‘A Love Supreme’ non era un progetto!); a non abituarci al suprematismo contemporaneo del ‘bando’ come unico sistema di finanziamento (perché comunque sia significa abituarsi a redigere modelli preconfezionati e adeguarsi ai desideri e alle necessità del committente); o attendere la stagione del ‘festivalismo’ come salvacondotto (in quanto programmi spesso sovvenzionati da debito pubblico di amministratori che hanno come unica esigenza quella di rilanciare il turismo e di riempire le piazze). Ecco, affidarci unicamente a progetti, bandi e festival rischia di isolarci e di condurci a una ghettizzazione: a essere irrilevanti e a perdere il senso profondo di ciò che siamo e che facciamo.
Certo, anche noi – addetti ai lavori e società civile – abbiamo la nostra responsabilità sociale. Anche e soprattutto noi dobbiamo smetterla di osservare la scena e guardare dalla finestra in modo passivo, borghese e narcisistico, vittime del cosiddetto ‘evento culturale’ che ha svuotato il senso della musica e delle arti. E della parola cultura, che deriva dal verbo latino ‘colere’, ovvero un participio futuro che indica il prendersi cura di qualcosa o qualcuno; e perché la cultura non è un patrimonio o un bene, ma un’esperienza di cambiamento e di maturazione. Tutto è diventato drammaticamente spettacolo, festival, ‘progetto’, evento (che porta all’evanescenza) e bando. Basta. Il nostro compito in futuro sarà quello di non lasciarvi soli e di partecipare attivamente – come comunità intraprendente e responsabile – alla vostra vita: diventare soci e cofinanziare la vostra azione e le vostre opere. E proprio su questo, in questi ultimi mesi, stiamo riflettendo con un team di addetti ai lavori per provare a trovare uno strumento che possa canalizzare risorse per la vostra preziosa attività: perché abbiamo bisogno di voi. Perché siamo dalla vostra parte.