Roma, 20 ottobre 2020
di Luciano Vanni
Il 7 ottobre, a Taiz, nello Yemen, un’insegnante coraggiosa ha riunito la sua classe all’interno di una scuola smembrata e distrutta dai combattimenti tra le forze governative e i ribelli sciiti huthi. La fotografia, [pubblicata su Internazionale n° 1.380], ed è questo che la rende così forte, è qualcosa di più di un’immagine che racconta la devastazione sociale di una guerra: diventa simbolo di una scuola di resistenza, che rimette al centro la sua funzione e il suo valore sociale, che va oltre la salute e l’incolumità; una scuola pensata non esclusivamente come spazio strategico di educazione e conoscenza, ma anche come un luogo d’incontro, di partecipazione, di relazione, di benessere e di confidenza. Quella maestra di Taiz ha fatto un gesto rivoluzionario. Ha esposto i bambini, e sé stessa, al rischio del crollo della struttura, e magari a saltare in aria per una delle tante mine che circondano l’edificio, ma ha avuto il coraggio e la consapevolezza che sarebbe stato comunque importante, per i giovani, condividere un momento di comunione e di emancipazione
Viviamo in un’epoca, quella della pandemia da Coronavirus, dove l’emergenza sanitaria sta generando un’altrettanto forte crisi sociale, civile ed economica, e questo lo stiamo osservando quotidianamente. Sono mesi che si parla di distanziamento sociale e di lutti. Ma che non diventi emergenza educativa e pedagogica verso le nuove generazioni. Questo no, perché significherebbe arretrare non esclusivamente sulle competenze future dei nostri figli, già di per sé drammatico, ma perché implicherebbe una contaminazione antropologica verso sentimenti quali paura, rassegnazione, pigrizia, difesa e distanza. Questo no. È l’incubo a cui dobbiamo sottrarci e a cui dobbiamo sottrarre i più giovani, tutti, dalla scuola dell’infanzia a chi sta vivendo esperienze di specializzazione professionale, perché significherebbe alimentare inquietudini, individualismo, solipsismo e paura del vuoto nel futuro.
E allora la cronaca mi porta a Napoli, dove è emersa una storia di coraggio, passione civile e di grande valore umano che non può essere abbandonata all’oblio. È la storia del maestro Tonino Stornaiolo. Il 18 ottobre, dopo che il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, aveva deciso la sospensione dell’attività didattica in presenza per le scuole primarie e secondarie, ha pubblicato un post sulla sua pagina Facebook personale: «Domani in Campania partirà la Dad. Io e i bambini delle classi proveremo invece la DAB – Didattica ai balconi. Passerò sotto i balconi, i palazzi, le strade, le case, i vicoli di ognuno di loro e continuerò quello che avevamo lasciato sospeso in classe: leggere Rodari e partire da quei testi per dare una consegna. In questi tempi difficili, dove la situazione è seria, il tempo di incertezza e paura la fa da padrone. Lasciamo sperare e credere ai bambini che, nel rispetto di ogni regola, piccoli gesti di condivisione sono ancora possibili. A distanza, mascherati, da soli, ma nulla è perduto. È un tempo difficile, facciamo di necessità virtù»
Ci sono momenti in cui occorre essere più maestri che insegnanti, e Tonino è stato un maestro. Attenendosi alla legge, ma anche alla creatività e all’intraprendenza civile, è sceso in strada e ha continuato in presenza – anche se a distanza, e in modo emergenziale, ovviamente – a costruire la sua relazione con i suoi piccoli allievi, affacciati dai balconi o seduti davanti al portone di casa. È una storia che non ha niente di eroico, ma c’è coraggio, c’è amore e c’è passione civile. E ieri pomeriggio, 19 ottobre, al termine della sua prima giornata di DAB – Didattica ai Balconi, è tornato sui social per raccontare la sua esperienza: «Vengo ora stanco ma super carico, dalla giornata di Dab (didattica ai balconi). La bellezza di vedere i bambini felici, di narrare con e per loro… nelle strade, nei vicoli dai balconi… L’emozione e la gratitudine dei genitori era incontrollabile, ma sono io che ringrazio loro. Abbiamo letto Rodari con la gente che si affacciava dai palazzi e dai bassi. Eravamo distanziati, mascherati, pochi e nella più totale sicurezza. La situazione attuale è delicata e seria, ma noi dobbiamo mostrare ai bambini che le difficoltà, insieme, possono essere superate. Non ho tante altre parole perché sono ancora frastornato dalle emozioni e dagli occhi dietro le mascherine. Di necessità virtù»
Ecco, la testimonianza di Tonino Stornaiolo è una delle storie più belle che mi piace ricordare in questo 2020 da incubo. E ci è particolarmente utile a comprendere quanto, ciascuno di noi, all’interno del proprio operato, possa trasformare la realtà e agire positivamente nella vita degli altri; quanto sia importante e decisivo non abbandonarsi alla burocrazia e all’impotenza, e neppure al negazionismo più becero, diventando esempio di purezza, bellezza e civiltà. La storia di Tonino, anche se di oggi, ci appare in bianco e nero, tanto è fondata su princìpi sani di cooperazione, impegno civile e di reciprocità che eravamo abituati a collocare nel primo dopoguerra.
La testimonianza di Tonino ci obbliga infine a ri-pensare alla scuola come luogo primo di civiltà di un popolo e a ri-considerarla qualcosa di più di un insieme di norme e di burocrazie, perché è lì che i giovani si aprono alla conoscenza della vita e alle relazioni; perché la scuola è un luogo di coraggio, di comunità e di relazioni sociali, un avamposto pedagogico dove si sviluppano caratteri, valori, atteggiamenti, sensibilità e modi di essere che ci determineranno in futuro; perché la scuola, non scordiamocelo mai, rappresenta il primo grado di democrazia sociale, in quanto organismo che permette a tutti coloro che sono esposti a situazioni di vulnerabilità, violenza, marginalità e fragilità domestica e familiare, di godere degli stessi strumenti, della stessa serenità e delle stesso opportunità dei più fortunati.