Roma, 10 luglio 2020
di Luciano Vanni
‘Utopia‘ e ‘sogno‘ sono due parole che vengono troppo spesso considerate come sinonimi, quando invece portano con sé significati e valori diversi. Il sogno è una parola che deriva dal latino sŏmnus, cioè ‘sonno’, e fa riferimento a una «struttura narrativa più o meno coerente», propria del dormiente [da Treccani]. Il sogno lo si vive di notte, abita e si ripete nel sonno, quando – come ci dice lo psicologo e psicoterapeuta Simone Maschietto – «l’io della persona lascia lo stato di veglia e scivola nel dormire»: e in quanto tale, il sogno è un’esperienza sganciata dalla realtà, involontaria e caratterizzata da processi mentali non coscienti. Il sogno rivela un pezzo di noi, magari la parte più nascosta e segreta, ed evoca temi, immagini, conflitti, aspirazioni, amori e minacce che abitano la nostra mente a livello inconscio, offrendo proiezioni emotive irrazionali, esperienze desiderate o rifiutate. Altra cosa è l’utopia, una parola che deriva dalla lingua greca e che può indicare un luogo che non c’è, oppure un luogo buono e felice: un qualcosa di fisico ma immaginario, perfetto ma inesistente. L’utopia, così come noi la conosciamo, rimanda a un modello di società ideale che fu elaborato nel 1516 dall’umanista Thomas More, italianizzato in Tommaso Moro [1478 – 1535], con il suo Libellus vere aureus… deque nova insula Utopia. Nelle pagine di questo suo romanzo, il protagonista del racconto raggiungeva un’isola, Utopia, che ben rappresentava il sogno rinascimentale di un una società senza contrasti e senza guerre; dove la proprietà privata è abolita, dove si produce ciò che serve (per il consumo e non per speculazione o commercio), dove c’è libertà di parola e di pensiero, dove i beni sono comuni, dove si lavora il giusto e dove c’è tempo per lo studio e il riposo; un luogo fertile a livello sociale dove è il sapere, la musica e la cultura a regolare la vita degli uomini.
A differenza del sogno, che è un fatto privato, l’utopia è frutto di un impegno e di un’intelligenza collettiva, perché l’utopia è una visione animata di tante persone che si identificano in un unico, grande desiderio che fa bene a sé stessi, ma soprattutto agli altri. Ma non solo. I sogni possiamo ambire a raggiungerli, o di averli già realizzati, mentre l’utopia è una fuga dalla realtà, che racconta di un futuro che possiamo solo immaginare; e poi i sogni sono creativi, mentre l’utopia è sovversiva, in quanto destinata a riscrivere comportamenti e regole della vita civile. Lo scrittore uruguaiano Eduardo Galeano (1940-2015) descrisse l’utopia in modo davvero efficace ed emozionante: «L’utopia è là nell’orizzonte. Mi avvicino di due passi e lei si distanzia di due passi. Cammino dieci passi e l’orizzonte corre dieci passi. Per tanto che cammini non la raggiungerò mai. A che serve l’utopia? Serve per questo: perché io non smetta mai di camminare».